Dominato da meccaniche metroidvania a scorrimento 2D fortemente ispirate alla serie Castlevania, gli sviluppatori definiscono il gioco un’avventura heavy metal sia per via dell’influenza stilistica che la cultura metallara ha sul gioco, sia perché la colonna sonora è composta dall’ex bassista dei Celtic Frost, Curt Victor Bryant.
Controllerete Bathorin, un eroe predestinato che tenterà di liberare sei regni maledetti da altrettanti signori del male, ormai in pieno controllo di un mondo con forti richiami gotici e tante, tantissime citazioni che gli amanti della cultura metal coglieranno di certo. Ecco dunque che al suo interno respirerete l’atmosfera tipica delle ambientazioni ottocentesche, quelle più lugubri, tetre, fatte di terre abbandonate dove gorgogliano mostruosità dal terreno e dove i cieli tinti di rosso occultano i figli di una maledizione terribile e inesplicabile. Il bestiario richiama alla memoria le creature del dark fantasy più sanguinolento ed estremo, con licantropi, orride banshee ed esseri deformi capaci di potenti attacchi fisici e pericolose magie.
Dopo una prima fase iniziale, utile ad acquisire dimestichezza con le meccaniche di base, Bathorin giungerà in quello che potremmo considerare l’hub principale, lungo cui è possibile selezionare le diverse aree che verranno sbloccate progressivamente. Considerando come la difficoltà tenda a salire progressivamente e come l’approccio alle battaglie debba lasciare sempre più spazio a una intelligente combinazione degli attacchi, mi sembra una scelta giusta e che non mette a disagio l’utente, già alle prese con un gioco che di indulgente ha ben poco.
Il sistema di controllo è decisamente più reattivo e scattante; i movimenti del protagonista, per design, sono sempre lenti, ma la risposta del gioco è decisamente più convincente. Ora le diverse armi hanno moveset leggermente differenziati, le parate e le parry hanno senso di esistere e il tutto scorre meglio, con combattimenti sì semplici ma meno frustranti, nonostante la morte sia sempre dietro l’angolo.
Nelle mie ore di gioco non ho mai visto uno stage davvero esaltante, nemmeno in una sua sezione, con soluzioni fin troppo scolastiche e spesso ripetute. Va detto inoltre che il dettaglio dei pixel di Slain, sebbene gustosi su personaggi e avversari, rende difficile la lettura di piattaforme e sfondi, quasi troppo “barocchi” nella loro composizione, creando così morti inutili.
COMMENTO PERSONALE
Non che sia impossibile passare qualche ora in scioltezza su Slain: Back To Hell.
Ma a volte è un gioco che, più che profumare di retrò, puzza di vecchio. O peggio, di banale. Se il panorama indipendente ormai pullula di nuove produzioni che omaggiano le glorie del passato, tra buoni cloni e vere e proprie gemme, Slain invece sembra poco più che un fan game con buone animazioni, ma poco cuore e forse meno sostanza. Se da un lato quest’affermazione può suonare dura nei confronti di developer che, nonostante soldi in tasca e gioco su Steam, hanno continuato a lavorare duramente per migliorare la propria creatura, d’altro canto non me la sento affatto di promuovere Slain, nemmeno nella sua versione Back To Hell.
Che è migliore della prima, ma sembra che sotto tante rifiniture a mancare sia proprio l’anima.
Un gioco mediocre, ma nulla più.